Mihai Eminescu (Botoşani, 15 gennaio 1850 – Bucarest, 15 giugno 1889), pseudonimo di Mihail Eminovici, è considerato il più grande poeta romeno di tutti i tempi. La sua data di nascita viene celebrata come la Festa Nazionale della Cultura Romena.
La sua opera costituisce una sorta di spartiacque tra la letteratura romantica e la moderna letteratura romena. Infatti la letteratura romena si divide in due: quella di prima e quella di dopo Eminescu. Lo storico rumeno Nicolae Iorga, considera Eminescu come il padrino della moderna lingua rumena.
Mihai Eminescu è stato uno dei maggiori poeti non solo romeni, ma europei. Alcune scuole lo indicano addirittura come l’ultimo grande romantico europeo. La sua poesia attinge prevalentemente alle fonti popolari, in particolare religiose, della cultura romena, ma si è nutrita anche del romanticismo tedesco e francese (Lenau, Heine, Vigny, Lamartine, Hugo) e della filosofia di Kant e Schopenhauer. La grande curiosità intellettuale è stata attratta dall’idealismo tedesco, le filosofie orientali e la spiritualità greca. La sua opera costituisce una sorta di spartiacque tra la letteratura romantica e la moderna letteratura romena e comprende lunghi poemi filosofici, improntati al pessimismo, elegie e idilli amorosi, che prendono talvolta il tono della romanza, roventi satire sociali e politiche, suggestive leggende epiche.
Ricordiamo che il romanticismo è stato il corrente letterario del ventesimo secolo a coltivare la sensibilità, l’evasione nel passato storico, la contemplazione della natura, gli eroi eccezionali.
Poeta, filologo, scrittore, giornalista politico, ma ha fatto anche il bibliotecario e l’ispettore scolastico. Fu attivo nella società letteraria Junimea e fu un membro di spicco del Partito Conservatore Romeno. Fu anche redattore capo del quotidiano “Timpul” (Il Tempo) di Bucarest e giornalista del “Curierul de Iași” (Il Corriere di Iași) dell’omonima città. Le tare di famiglia, il durissimo lavoro, la vita disordinata, la forte contrastata passione per la poetessa Veronica Micle lo condussero alla pazzia e alla morte, all’età di 39 anni.
Traduzioni
Non so quanti italiani abbiano avuto l’occasione di conoscere, di leggere i nostri scrittori. Perché traduzioni in italiano ci sono, le prime già a partire dal 1906 fino ad arrivare ai nostri giorni, quando gli scrittori moderni sono quelli più presenti. Tra tutti, Eminescu è l’autore rumeno più tradotto in italiano in assoluto, come dichiarava in un’intervista il direttore del Dipartimento di filologia, letteratura e linguistica della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere di Pisa, professor Bruno Mazzoni, che insegna la lingua rumena da più di 25 anni. E pure il grosso pubblico italiano lo conosce ben poco. Per chi fosse interessato, lascerò un elenco delle traduzioni augurandoli che possa trovare qualcuna in circuito.
Le prime traduzioni sono dal 1906 (Venere e Madonna). Dalla considerevole produzione lirica, si ricordano le novelle Sărmanul Dionis („Il povero Dionigi”, 1872) e Cezara (1876, trad. it. 1925), il poema Memento mori (post. 1903) e il romanzo Geniu pustiu („Genio solitario”, post. 1904; trad. it. 1989). Nel 1927 viene pubblicato il volume di poesie nella traduzione e con le note di Ramiro Ortiz. Altre edizioni sono dovute alla traduzione di Rosa Del Conte (1989) e Marco Cugno (1990). Suo poema-capolavoro è il poema Luceafărul (1883) – tradotto it. come L’astro, 1927, Iperione, Espero, molto erroneamente come Lucifero (1989, Marin Mincu e Sauro Albisani).
Però, io credo che per chi si avvicina per la prima volta ad una cultura, per capire qualcosa dello spirito romeno si debba cominciare dai classici. Un po’ come si inizia il percorso scolastico di uno studente. Altrimenti, qualunque discorso, per quanto possa essere belo, rimane infondato .
E’ quello che proponiamo anche noi, ad ogni incontro interculturale, come un avvicinamento alle radici della nostra cultura, sulle quali si fonda la nostra spiritualità. Noi possiamo darvi solo lo spunto, di un invito alla lettura. Saremmo contenti se anche solo uno di quelli presenti si sentisse invogliato, dopo il nostro incontro, a cercare le poesie di Eminescu nelle biblioteche.
Suo poema-capolavoro è il (1883) – tradotto it. come L’astro, 1927, Iperione, Espero, molto erroneamente come Lucifero (1989, Marin Mincu e Sauro Albisani). Contiene 98 strofe a 4 versi per un totale di 392 versi. E’ un poema costruito sul tema filosofico del tempo e della condizione del genio nel mondo, a confronto con l’uomo semplice. Una visione assai pessimistica sul mondo che vive del tormento di Luceafarul tra eternità e amore, in una prospettiva sia spaziale che temporale. Il Luceafarul di Eminescu parla della solitudine e del genio incompreso del poeta nel mondo, poeta/stella capace di portare luce/verità agli uomini che non riescono ad accettare tali doni e lo lasciano deluso.
L’Iperione si innamora di una bella fanciulla a tal punto da pensare di rinunciare all’immortalità e alla sua condizione per avere la possibilità di mettere in pratica la relazione amorosa. E quindi si incammina verso il Creatore per chiedere la grazia. La descrizione del suo viaggio fra le galassie dell’universo è unica, una visione cosmica di una grande bellezza.
Luceafarul
(frammento, traduzione di Sauro Albisani)
Si mosse Lucifero. L’ali
gli crebbero nel cielo,
brucio millenarie calli
in un secondo solo.
Un mondo di stelle superno,
laggiù di stelle un mondo –
sembrava un lampo eterno
la in mezzo, vagabondo.
Vedeva d’intorno dai gorghi
del caos guizzare,
come accadde ai primordi,
immense luminare;
ed ecco nascendo l’accerchiano
come un mare… e lui vola, nuota,
pensier che la voglia soverchia,
fin quando scompare nel vuoto;
che giunge ove non c’e frontiera
ne occhio che s’orienti,
e invano anche l’attimo spera
di nascere dal niente.
E il niente, ed e nondimeno
la sete che l’arde e travia,
e un abisso
simile al cieco oblio.
Nel frattempo la ragazza lo tradisce con un paggetto di poco conto e, deluso dell’infedeltà, decide di tornare alla sua eternità celeste e fredda, siglando la solitudine cosmica del poeta, nel amore e nel mondo:
E lui come un tempo s’accende
sulle vette e sui boschi,
remoti deserti movendo
di rabide burrasche;
ne più come allora e caduto
dentro il mare dall’alto:
«Che t’importa, figura di luto,
se sarò io o un altro?
Nel circolo angusto vivendo
fortuna vi governa,
mentre io nel mio mondo mi sento
gelido ed eterno».
Florentina Nita, 15.06.2016